sabato 31 ottobre 2009

TULUN, OVVERO L'ICARO LERMESE

TULUN, OVVERO L'ICARO LERMESE
DI
MARCO MARENGO
Un grande sogno pulsante nella testa e gambe svelte. Una sola differenza, non piccola, il nostro Icaro non ha ali, ma due fascine sotto le ascelle. Convinto, così conciato, di poter volare.
Un sogno, realizzabile o meno non ha importanza. Un sogno.

Ho ascoltato con piacere questo racconto da più persone, tutti Lermesi.
L'Icaro Lermese ha lasciato una lunga traccia nei cieli, anche se, da quanto ho udito il suo tentativo di vincere nell'aria è finito con una brutta caduta. L'aria è leggera, lui troppo pesante.
Le fascine inutile orpello per quel tipo d'attività... ma il sogno resta intatto.

A volte i personaggi locali possono apparirci inutili se pensiamo alla vita comune, ma ragionandoci un momento di più sono proprio le stranezze, le stramberie, le vite fuori dalle righe a lasciare una traccia.

Agitando le fascine come fossero ali l'Icaro Lermese (Tulun) correva verso il punto ideale per il balzo. Dopo varie prove ha spiccato il volo....

Questi avvenimenti passando di bocca in bocca ci danno la sensazione che accadano ancora...
Per qualche istante voliamo come Tulun, senza pensare all'inevitabile scontro con il suolo.
Mentre siamo in aria solletichiamo il Pensiero.

giovedì 29 ottobre 2009

I TUNNEL E LE TRE ROSE di Marco Marengo



I TUNNEL E LE TRE ROSE
di
Marco Marengo




L’enorme radice secca di quella che doveva essere un’antica e imponente quercia mi permetterà, una volta tolta, di sistemarvi comodamente una giovane pianta di cachi. Di certo non è facile lavorare sul ripido pendio sottostante il castello di Lerma, ma almeno qui i miei frutti saranno al sicuro da mani lunghe…
Lavorando energicamente di zappa e palanchino ogni tanto alzo lo sguardo per assicurarmi che la corda fissata alla ringhiera di casa non abbia visibili cedimenti. Tutto è a posto, così continuo, colpo su colpo.
Gocce di sudore sul terreno tufaceo.
Davanti a me le imponenti fondamenta del castello, formate da vari livelli di archi in pietra, alcuni più profondi, mi fanno pensare a possibili passaggi…
Lerma, un paese di origine medievale abbarbicato su una ripida rocca di tufo. Il castello è il suo fulcro.
Domina dall’alto la valle del torrente Piota, che in epoca romana fu una delle più importanti vie di scambio tra la Liguria e la Pianura Padana.
Quando mi trovo qui idealmente respiro il passato. Tra un colpo di zappa e l’altro la terra mi rimbalza intorno come se fosse viva. Niente doveva essere facile quando sapevi che una gelata poteva distruggerti il raccolto, ridurre a inutili orpelli striminziti i fiori degli alberi.
Avvolto in tali pensieri il lavoro va avanti fluido ed istintivo. Nel continuare ad osservare gli archi posti come fondamenta mi torna alla memoria una teoria.
Tempo fa, sostando dopo una lunga camminata estiva, sulla grossa e antica lastra di pietra in piazza incontrai un tizio dall’età indefinibile. Dopo alcuni sguardi al castello prese a parlare di tunnel a ragnatela partenti dalle sue fondamenta.
-Quegli archi sono tunnel che portano alle miniere della valle!- provai a rispondere, ma subito mi interruppe –gli scavi iniziali erano come base per la costruzione di una sola torre d’avvistamento poi, grazie a questi tunnel ed alla scoperta delle miniere d’oro decisero di ampliare il progetto erigendo un castello!-.
A bocca aperta di fronte a queste parole. Solo l’energia per dire –ma come mai scavarono tunnel?-
-Semplice!- rispose secco –ogni costruzione militare dell’epoca aveva una o più vie di fuga sotterranee! Sarebbero servire in caso d’assedio-.
Il dialogo finì ed io tornai a casa, passando sotto l’arco tra chiesa e castello.
-interessante teoria…- sussurro, ora che sono qui con il naso all’insù con lo sguardo puntato sulla traccia buia disegnata dalla profondità degli archi.
Il grosso blocco di radici ormai sta per cedere. Vorrei legarlo ed issarlo fino a casa, ma è troppo pesante! Così decido di farlo rotolare a valle. Scricchiolio di foglie e rami rotti di netto, poi torna il silenzio dell’aria umida d’inverno.
Il buco lasciato è più ampio di quanto immaginassi. Qualcosa di metallico affiora. D’istinto affondo le mani nella terra. La stretta troppo forte e decisa rovina ciò che da tempo è in pace e sepolto.
Ciò che riaffiora è un antico dono che non ha cambiato di mano… anche se la leggenda, come tale, ha varie interpretazioni. Le tre tombe, scoperte e presto ricoperte sotto la chiesa di Lerma mi solleticano idee…
Un fruscio tra gli arbusti mi fa sobbalzare. Può essere solo un’animale, nessuno può aggirarsi da queste parti senza l’aiuto di una robusta corda.
Il fruscio continua più lento, come sospettoso, poi scompare. Forse l’animale è rientrato in tana.
Osservo meglio ciò che ho travato sottoterra… ne devono essere passati degli anni dato il suo aspetto. La forma ricorda dei fiori… due forse tre. Posti nella sacca sistemo il giovane caco nella sua nuova dimora e, incuriosito, salgo verso le fondamenta del castello.

2
Nel salire tracce di antichi steccati spezzati forse dal tempo o dalla fuga improvvisa degli animali… un tempo utilizzati per il trasporto del materiale di scarto degli scavi?
Avvicinarmi a quegli archi mi da una strana sensazione, è come se sapessi che se ci entrerò sarà un’immersione nel passato dell’uomo. Per il momento mi accontento di ipotetiche sensazioni e faccio ritorno a casa.
Scriverò due righe sull’accaduto e farò vedere in paese ciò che ho trovato sotto il ceppo del rovere. Per il momento è troppo presto per lasciarsi andare a frettolose conclusioni.